Giro d'Italia, Tour de France, Vuelta di Spagna sono solo alcune delle prestigiose gare competitive in cui Nalini ha indirettamente partecipato grazie agli atleti che hanno scelto di indossare il nostro marchio.
La libertà di movimento, l'eccellente costruzione dei capi e, soprattutto, l'attenta selezione dei tessuti incidono in modo determinante sulle prestazioni degli atleti, permettendo loro di raggiungere costantemente nuovi traguardi.
Scopri come Nalini si è posizionata sul podio.
Non fu una vittoria ma valse ancora di più. La cronometro Cluses Avoriaz era alla fine di quel Tour de France e per Miguel Indurain valse il quarto sigillo in giallo. C’era tutto Indurain in quella sfida che non era per lui sulla carta ma riuscì a gestire su avversari ormai troppo lontani in Classifica Generale.
Era il suo modo di correre, entusiasmava senza clamori, ma la sua costanza granitica diventava entusiasmo essa stessa. Un campione gentile, ti faceva passare prima in ascensore sempre, ma quando c’erano da prendere decisioni era il primo, un comandante prima di un capitano. Solido di testa prima ancora che di gambe, perché sapeva che con gente come Pantani doveva gestirsi. Perdeva secondi sugli scatti ma sul passo, anche in salita, controllava i secondi e faceva paura. Con i secondi ci giocava, il cronometro era fatto per lui. Gli esperti dicevano che la sua posizione, pure elegante, non era perfetta, compensava con lo stile efficace e statuario.
Muscoli lucidi e perfetti, controllo della bicicletta in ogni situazione, non cadeva praticamente mai. E sapeva gestire anche gli avversari, non facendoseli mai nemici.
Non era ancora Marco Pantani, non era ancora il Pirata. Non aveva nemmeno la bandana. Era un gregario di quelli che promettono bene. Pantani era professionista da due anni e in quel Giro sapeva di poter fare bene, aveva Claudio Chiappucci come capitano, una certezza. Quando scappò via sembrava quasi impossibile, ma dove va? Però in salita volava, in discesa si metteva in una posizione spaventosa, aerodinamico come forse non è mai stato uno scalatore. Seduto col petto direttamente sulla sella, i pantaloncini che sembravano di jeans, per quella curiosa tenuta della sua squadra, la Carrera, a sfiorare la ruota posteriore. Una velocità folle che non sembrava neanche tale perché era preciso, sicuro, fermo sulla bicicletta. Già, in quella Lienz – Merano Pantani forse vinse più in discesa che in salita, un cappellino sui capelli che già annunciavano la pelata che sarebbe diventata la più famosa del ciclismo.
Noi non lo sapevamo ancora, ma proprio in quel 4 giugno 1994, in discesa, era nato il Pirata, lo scalatore più forte. E se non lo avevamo ancora capito ce lo ribadì subito, vincendo il giorno dopo ad Aprica. In quel giro finì secondo, dietro a Berzin. Ma il ciclismo guardava già a lui.
Un italiano al Tour de France dopo i nomi storici, storia anche lui. Vincenzo Nibali nel 2014 ad Hautacam schiantò definitivamente gli avversari. Si tolse un sassolino dalla scarpa lasciando annichilito anche il vecchio Chris Horner, che un anno prima gli aveva soffiato clamorosamente la Vuelta.
Quel giorno non ce n’era per nessuno. Nella salita finale aveva staccato avversari diretti e corridori avanzati dalla fuga come fossero ragazzini in allenamento. Tagliò il traguardo braccia al cielo, stese come un esercizio in palestra perché lo sapeva, stava prendendosi tutto. Non diventava suo solo il Tour in quel momento, ma un pezzo di storia di ciclismo italiano e mondiale.
Dopo Pantani, dopo Gimondi, dopo gli eroi di polvere e fango, vincitore di tutti e tre i Grandi Giri (e sarebbe arrivato ancora un’altra maglia rosa). Le ultime due tappe sarebbero state una passerella o quasi, cronometro compresa, fino al trionfo di Parigi.
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