La tentazione, cui cedere, e la testa, che fa rimanerefermi.
Due corridori della storia recente, li avete giàriconosciuti Marco Pantani e Miguel Indurain?
Sulle strade del Tour de France le loro sfide su livelli diversi. Istinto eforza. E quando le forze non ci sono, bisogna avere l’istinto educato a fare lacosa giusta. Altrimenti è panico e si rischia di buttare via tutto.
Prima che ci fossero radio e misuratori di potenza a direal corridore di stare calmo e dettare esattamente cosa fare, c’erano l’istintoe la testa. Erano questi a fare la differenza tra un bravo corridore e uncampione. Si dice che spesso sia tutta qui la differenza tra i campioni e ifratelli dei campioni. Stessa eredità genetica, spesso stesse caratteristichesimili ma risultati diversi da fare di uno solo il “fratello di”.
Non ne avremo mai le prove, inutile arrovellarci. Ma abbiamo (avuto) Indurain ePantani e due modi di correre così diversi eppure campioni. Uno che attaccavaappena poteva, l’altro che attaccava quando non ne poteva fare più a meno e sicontano quasi sulle dita di una mano, come quella volta contro Berzin al Girod’Italia. Era il 1991, Pantani sarebbe arrivato poco dopo con quel suo “hovisto la salita, ho resistito qualche centinaio di metri e poi sono andato”,niente calcoli, solo forza, finché ce n’era.
Indurain non aveva lo scatto dalla sua, il cambio diritmo era più lento, ma inesorabile, andava di passo e limitava i danni finendoanche col causarne agli altri e lo esaltarono allungando le cronometro. Pantaniandava via senza ragionare e rapiva tutti per le azioni che sembravanosconsiderate e “antiche”. E noi credevamo che questi racconti fossero perdutiper colpa della tecnologia.
Invece ci sono corridori che guardano il computer e poiscattano lo stesso e pazienza se non porterà a una vittoria, il ciclismo,comunque, è servito.
Ed è per quello che continueranno a piacerci.
Guido Rubino Cyclinside
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